Un avvocato per poter rappresentare un cliente nel processo ha bisogno di una “procura alle liti” che è un atto con cui l’assistito dichiara di voler incaricare il professionista ad assisterlo e difenderlo nel processo, nonché a compiere tutta una serie di attività i cui effetti giuridici ricadono in capo all’interessato. Tale conferimento di incarico, per il processo civile, è disciplinato dall’art. 83 cpc il quale stabilisce che può essere data per una o più liti, determinate o meno, oppure per una specifica fase del processo, oppure in tutte le cause in cui il cliente sarà parte di un processo: nel primo caso si parlerà di “procura speciale”, nel secondo di “procura generale”.

La procura alle liti può essere conferita con un atto pubblico o con una scrittura privata autenticata. In quest’ultimo caso, l’autentica è posta in essere direttamente dall’avvocato mediante sottoscrizione il quale, solo in questa occasione, assumerà la veste di pubblico ufficiale con tutte le conseguenze sulla pubblica fede che ciò comporta.

Tale documento, ovviamente, deve essere mostrato in processo e per farlo il codice di procedura civile stabilisce che la procura va apposta in calce o a margine di determinati atti processuali (per esempio in tutti gli atti introduttivi di un giudizio come le citazioni o i ricorsi).

Fino a qualche anno fa, in assenza di digitalizzazione dei documenti, quanto sopra era la regola, ma con l’avvio del processo telematico ed in particolar modo con l’arrivo delle firme digitali le cose sono cambiate. Prima di tutto è bene ricordare che la “firma digitale” è un metodo di identificazione informatica con il quale una persona, a mezzo di una determinata operazione tecnica, autografa un documento digitale. Per apporre una firma digitale è necessario avere un dispositivo (il kit di firma digitale) che possiede un certificato rilasciato da un’Autorità di Certificazione. Le informazioni presenti nel certificato definiscono con certezza la corrispondenza tra l’intestatario ed il certificato stesso. Pertanto la firma digitale ha le seguenti caratteristiche: 1) autenticità (garantisce l’identità del sottoscrittore); 2) integrità (il documento su cui è apposta non è stato modificato dopo la sottoscrizione); 3) non ripudio (il sottoscrittore non può disconoscerla sic et simpliciter).

Il terzo comma dell’art. 83 è stato modificato dall’art. 45 lett. B) della L. 69/2009 che ha introdotto il concetto di riconducibilità della procura informatica all’atto di riferimento, ma, salvo questo, la legge non ha ancora precisato le modalità di utilizzo della firma digitale a distanza da parte del cliente. Ad ogni modo, seppure in via analogica ed in base a quanto detto sopra, a parere di chi scrive è possibile depositare nel processo una procura alle liti firmata digitalmente dal cliente.

Vediamo le modalità operative.

Bisogna evidentemente partire da un documento “nativo digitale”, come un file .PDF, in cui è redatto materialmente il testo della procura. Quindi non bisogna partire da un documento scannerizzato precedentemente stampato. Il file così ottenuto ora va firmato digitalmente dal cliente, quindi anche a distanza (ricordiamo che la firma digitale garantisce l’autenticità del sottoscrittore), per poi essere “controfirmato” (e non semplicemente firmato perché altrimenti sarebbe tecnicamente impossibile) dall’avvocato autenticante il quale, con i software più comuni, possiede appunto la funzione di “controfirma”.

 

Per approfondimenti:
Altalex
Overlex

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